SINGAPORE, TUTTO SECONDO COPIONE
- Simone Marchetti Cavalieri

- 5 ott
- Tempo di lettura: 3 min

Il Gran Premio di Singapore non ha tradito le aspettative: qualifiche decisive, gara gestita con prudenza e poco spettacolo. L’unica incognita che si sperava potesse cambiare le carte in tavola era il meteo. La pioggia, in effetti, è arrivata — ma troppo presto. E chissà come sarebbe andata se avessero davvero corso in condizioni miste, viste certe esperienze passate.
Russell ha costruito la vittoria al sabato, con due giri in Q3 di livello assoluto. La Mercedes si è confermata nervosa, difficile da interpretare, ma la sua precisione ha fatto la differenza. L’introduzione della nuova ala anteriore ha pesato, come mostra la telemetria. Ma si sa: quando non si parla di McLaren o Ferrari, ogni aggiornamento “funziona” senza polemiche. Bravi loro a trovare il modo di restare nei limiti del regolamento e farlo fruttare.
Verstappen ha fatto il massimo con quello che aveva. Ha provato una partenza aggressiva, ma la parte “sporca” della pista, resa ancora più insidiosa dall’umidità, ha complicato tutto. Da lì gara gestita, mai realmente in grado di impensierire Russell, salvo una breve schermaglia con Norris. Le sue lamentele in qualifica restano un po’ fuori luogo: ha frenato diversi metri più tardi del solito, pur avendo un delta positivo sul crono. Un errore può capitare, anche a lui. È normale reagire a caldo, ma sembra che oggi criticare anche solo un dettaglio di Verstappen equivalga a mettere in discussione la sacralità del “vero pilota”. Eppure, se uno guarda certe sue manovre — come a Monza, con Ocon — il margine per giudicare non manca.
Terza gara consecutiva senza vittoria per la McLaren, e stavolta su una pista dove l’anno scorso aveva dominato. La MCL39 resta una monoposto eccezionale, ma non in ogni contesto. In qualifica soffre e su tracciati come Singapore questo pesa più che altrove, anche se il passo gara resta buono. Lando Norris ha fatto una partenza decisa e pulita, Piastri invece ha reagito d’istinto a una situazione che non gli ha reso giustizia, ma senza che ci fosse davvero motivo di lamentarsi.
Per Ferrari, la situazione è ormai chiara e costante. Il livello è questo, e non cambierà fino a quando non si deciderà di intervenire davvero sul progetto. Se la macchina resta invariata e gli altri evolvono, stupirsi dei risultati non ha molto senso.
In questa gara Hamilton sembrava avere più passo di Leclerc, ma la partenza lo ha costretto a un ritmo di attesa e l’episodio finale ha spento ogni speranza di rimonta. Leclerc, invece, ha mostrato momenti di discontinuità, un po’ come già accaduto a Baku. E in effetti, quando ti chiedono di risparmiare carburante mentre già fatichi a tenere il passo, è comprensibile perdere motivazione.
E poi c’è Alonso. Onestamente, difficile capire dov’è stata la sua “gara eccezionale”. Arrivare a cinquanta secondi da Leclerc dopo un weekend costantemente in zona alta, non può essere definito un capolavoro. Qualifica mediocre, gara normale, nulla di più. Il suo talento resta indiscutibile, ma anche la tendenza a lamentarsi di tutto. Stavolta se l’è presa con Hamilton, ma la verità è che ormai fa parte del personaggio: l’eterno combattente, sempre in polemica con qualcuno.
Singapore non ha sorpreso. Tutto è andato secondo copione, senza scosse né imprevisti. Russell impeccabile, Verstappen umano, McLaren altalenante, Ferrari prevedibile, Alonso sempre polemico. E così, più che parlare di corse, finiamo a discutere di caratteri.
Forse è questo, oggi, il vero limite della Formula 1: la gara conta meno del racconto che la circonda.

