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QUANDO IL PRESTIGIO NON BASTA PIÙ

  • Immagine del redattore: Simone Marchetti Cavalieri
    Simone Marchetti Cavalieri
  • 27 mag
  • Tempo di lettura: 2 min

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Da quando, nel 2017, le monoposto sono diventate enormi e ingombranti, questa gara ha perso ogni reale motivo di esistere, almeno la domenica. Sia chiaro: il sabato resta un’esperienza mozzafiato. La caccia alla pole è una delle ultime sfide vere di guida pura rimaste in Formula 1. Vedere queste vetture danzare tra i muretti resta qualcosa di unico. Ma la gara, purtroppo, è un’altra storia.


Non c’è regolamento che tenga: obblighi di doppio pit stop o strategie fantasiose non cambiano il succo della questione. I 78 giri di Montecarlo sono diventati una formalità quasi priva di contenuto. I piloti girano con un ritmo da parata, anche 10 secondi più lenti che in qualifica, senza alcun rischio concreto di perdere la posizione. L’introduzione del doppio pit stop, pensata per creare variabili, ha finito per estremizzare questa dinamica. Si sono visti addirittura compagni di squadra rallentare volontariamente per offrire il “pit stop gratuito” all’altro. Strategicamente sensato. Uno spettacolo svilente, francamente.


Il risultato? I primi cinque hanno fatto gara a sé, mentre il resto del gruppo ha arrancato a ritmi da categoria inferiore, prigioniero di una strategia sterile. E il tentativo degli organizzatori di ravvivare un evento sempre più piatto si è rivelato inutile. Finché non si potrà intervenire sul vero problema — ovvero le dimensioni delle monoposto — ogni iniziativa sarà destinata al fallimento.


Detto questo, una nota positiva: Lando Norris è tornato alla vittoria, la prima dopo Melbourne. Prestazione impeccabile fin dal sabato, con una qualifica in costante crescita, fondamentale su un tracciato come Monaco. In gara ha fatto il minimo indispensabile per mantenere il controllo, con l’unico momento critico alla partenza, quando ha dovuto resistere a un Leclerc aggressivo con una staccata al limite.


Più difficile da comprendere la gestione della gara di Hamilton. A metà corsa era quinto, con uno dei due pit già effettuato e un buon margine su Alonso. Verstappen gli era davanti di pochi secondi, eppure nessuno ha provato un undercut montando le medie. Forse non sarebbe cambiato nulla, ma un minimo di pressione sulla Red Bull avrebbe avuto senso, specialmente mentre Max stava iniziando ad affrontare il traffico dei doppiati.


Il futuro, almeno a breve termine, non promette molto meglio. Le monoposto del 2026 saranno più piccole, sì, ma non abbastanza da cambiare davvero le carte in tavola. È vero, Monaco è sempre stata una corsa atipica, ma fino a pochi anni fa richiedeva precisione assoluta: ogni errore si pagava. Oggi invece puoi anche sbagliare l’uscita dal tunnel, basta restare al centro della pista e sei salvo.


Per capirlo basta ricordare il 2013, quando Kimi Räikkönen, dopo un contatto con Pérez, fu costretto a rientrare ai box per foratura. Montò gomme nuove, tornò in pista tredicesimo, e in un paio di giri era decimo. Un’impresa oggi impensabile. Anche con un ritmo superiore, sorpassare a Monaco è diventato un sogno irrealizzabile.


Il fascino del Principato resiste solo nell’immaginario. Per chi guarda, quella di Monaco è una non-gara che continua a vivere di rendita. E francamente, non basta più.



© Simone Marchetti Cavalieri

 
 

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