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LA LEZIONE DI AUSTIN: QUANDO PORSCHE NON SBAGLIA NULLA

  • Immagine del redattore: Simone Marchetti Cavalieri
    Simone Marchetti Cavalieri
  • 9 set
  • Tempo di lettura: 2 min
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La vittoria della Porsche #6 alla sei ore di Austin non è stata una sorpresa. Così come non lo era stata la straordinaria prova a Le Mans, dove hanno tenuto testa da soli a tre Ferrari. E non è un caso nemmeno che Kevin Estre e Laurens Vanthoor portino già in bacheca un titolo mondiale piloti: quando si apre uno spiraglio, loro ci si infilano senza esitazioni.


Appena viste le condizioni meteo in Texas, il pensiero è stato immediato: “questa è la gara della Porsche”. Perché al netto di un Balance of Performance che sembrava aver tolto competitività al marchio tedesco, la pioggia era la variabile che poteva cambiare tutto. E così è stato.


Quanti equipaggi, sotto quell’acqua torrenziale, sono riusciti a correre senza errori? Probabilmente solo la #6. Vanthoor e Campbell hanno svolto un lavoro chirurgico, restando sempre agganciati al gruppo di testa senza mai correre rischi inutili. Poi è arrivato lo stint decisivo di Estre: attacco immediato a Pier Guidi e sorpasso sulla Ferrari, seguito da un ritmo martellante che ha fatto la differenza.


Per rendere l’idea: nell’ultima ripartenza, con un’ora e venti al termine, la Porsche #5 era quarta in lotta per il podio. Alla bandiera a scacchi, dopo lo stint di Christensen, si è ritrovata decima, staccata di un minuto e sedici dalla gemella. Una forbice che racconta meglio di mille parole la prestazione di Estre.


Alle spalle della vincitrice, la Ferrari #50 ha raccolto un secondo posto ordinato, senza particolari acuti, complice anche un Fuoco meno incisivo del solito. Terza la Peugeot, che come Porsche ha sfruttato la pioggia per nascondere i suoi limiti strutturali. Più indietro, la Ferrari #51 ha limitato i danni chiudendo quinta, approfittando del doppio ritiro delle Aston Martin, altrimenti molto pericolose sul bagnato.


Qualche rimpianto rimane per la #51: Pier Guidi avrebbe avuto la possibilità di tentare la replica sul sorpasso di Estre, soprattutto con il tracciato che andava asciugandosi e le 499P sempre più veloci. La superiorità tecnica c’era, ma in endurance conta la gestione: certe gare non si vincono a un’ora e quaranta dalla fine, ma possono tranquillamente perdersi lì.


Capitolo delusioni: Cadillac mai in partita, penalizzata da una qualifica anonima e da una gara altrettanto opaca. Toyota irriconoscibile, ma qui pesano scelte di BoP e qualche errore di troppo (Lopez su tutti). Alpine e BMW, infine, semplicemente spaesate sul bagnato: la strada da fare è ancora tanta.


Una nota stonata anche in casa Porsche: la scelta di schierare Andlauer all’inizio con la #5, anziché riservargli la parte finale, non ha pagato.


Piccolo appunto, è passato fin troppo in sordina il trionfo della Ferrari #83 di AF Corse nel FIA World Cup for Hypercar Teams. Il titolo riservato ai team “non ufficiali” della classe regina del WEC. A conti fatti, il primo titolo riportato a Maranello nella top class dell’endurance. Stampa specializzata, dove sei?


Ora l’attenzione si sposta verso il Fuji. Sarà il momento della verità per Toyota: se non riusciranno a giocarsela neppure in casa, allora il segnale sarà chiaro.



© Simone Marchetti Cavalieri

 
 

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