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FERRARI E L'OSSESSIONE PER IL PRESENTE

  • Immagine del redattore: Simone Marchetti Cavalieri
    Simone Marchetti Cavalieri
  • 15 mag
  • Tempo di lettura: 2 min

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C’è un curioso paradosso che da anni accompagna la Ferrari: si pretende che vinca, ma non le si concede il tempo per costruire davvero le basi di una vittoria duratura.


Nel 2023, la McLaren ha fatto qualcosa che nel paddock richiede coraggio e lucidità: ha ammesso i propri limiti. Ha scelto di rinunciare consapevolmente alla prima metà del campionato per ripartire da zero. In Austria ha fatto debuttare una vettura completamente diversa, frutto di un lavoro profondo e mirato. Quella decisione, apparentemente controcorrente, si è rivelata la scintilla di una crescita che oggi è sotto gli occhi di tutti.


Ferrari, invece, non può permettersi lo stesso lusso. Non per vincoli economici imposti dal budget cap, ma per un motivo più sottile e culturale: nessuno le perdonerebbe una rinuncia dichiarata. Immaginate la scena: Maranello che annuncia a inizio stagione che la macchina è una versione "di transizione", che il vero progetto arriverà più avanti. Sarebbe il caos. I tifosi si sentirebbero traditi, i media parlerebbero di resa, le pressioni interne si moltiplicherebbero.


E così, stagione dopo stagione, la Scuderia è costretta a giocarsi tutto con ciò che ha — anche quando ciò che ha non basta. Mentre altri team possono permettersi di rallentare oggi per spingere più forte domani, Ferrari è imprigionata nell’ossessione del tutto e subito. Una corsa perpetua verso un risultato che, proprio per questa fretta, rischia di non arrivare mai.


Eppure, la storia recente dimostra che quando Ferrari ha avuto il coraggio di pianificare, ha saputo essere protagonista. È successo nel 2021, quando scelse di sacrificare quella stagione per concentrarsi sul progetto 2022, che infatti la vide lottare al vertice. È accaduto anche nel biennio 2016-2017, quando i frutti di una lunga preparazione portarono la Rossa a giocarsi il titolo.


Il problema, allora, non è solo tecnico o progettuale. Perché non serve un cambio regolamentare per resettare e ricostruire: serve visione, pazienza e — soprattutto — un contesto che sappia reggere un momento di pausa strategica.


McLaren ha potuto farlo. Ferrari potrebbe. Ma per riuscirci, dovrebbe essere liberata dall’obbligo di performare sempre e comunque. Dovrebbe essere sostenuta anche quando sceglie di costruire nell’ombra, invece che brillare a ogni costo.


E qui entra in gioco anche chi la guarda, la sostiene, la racconta. Perché forse la vera rivoluzione non parte solo dai box o dalla galleria del vento. Parte da un cambiamento collettivo di mentalità.


Se si vuole davvero che la Ferrari torni a vincere, si è disposti ad accettare che prima debba fermarsi?



© Simone Marchetti Cavalieri

 
 

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