"F1: IL FILM": TANTA FORMA, POCA SOSTANZA
- Simone Marchetti Cavalieri
- 27 giu
- Tempo di lettura: 3 min

C’erano aspettative enormi attorno a F1, il film diretto da Joseph Kosinski con Brad Pitt nei panni del veterano Sonny Hayes, chiamato a guidare (in pista e fuori) una squadra immaginaria nel mondo della Formula 1 moderna. C’erano aspettative (non da me, si intenda) perché dietro c’era Apple, c’era Jerry Bruckheimer, c’era la consulenza diretta di Lewis Hamilton, e perché per la prima volta la F1 apriva davvero le sue porte al grande cinema, con riprese effettuate dentro i weekend ufficiali di gara, su monoposto vere, in mezzo al paddock reale.
Eppure, nonostante i muscoli produttivi e la confezione impeccabile, il film resta quello che troppe pellicole sulle corse finiscono per essere: tanta forma, poca sostanza. Un prodotto ben coreografato che però non lascia davvero il segno.
Una trama già vista
La storia è quella del ritorno alle corse di un ex pilota caduto in disgrazia, affiancato da un giovane talento da svezzare (Joshua Pearce, interpretato da Damson Idris), con un team outsider da salvare e qualche demone personale da superare. Se vi suona familiare è perché lo è: da Days of Thunder a Driven, fino al più recente Gran Turismo, il cinema delle corse sembra incapace di emanciparsi da questo schema narrativo.
F1 non fa eccezione. Tutto è già visto: la rivalità interna, la stampa ostile, il team principal burbero ma buono (Javier Bardem, comunque magnetico), il pit stop al millesimo e la redenzione finale. Il film accelera, ma senza trovare mai la traiettoria giusta.
Incidenti veri, finzione discutibile
Ci sono poi scelte che lasciano perplessi, soprattutto per chi conosce il motorsport. La citazione diretta all’incidente di Martin Donnelly, nel film riproposta con immagini reali del 1990 a Jerez, lascia un retrogusto spiacevole. Era davvero necessario inserire quel momento così drammatico, così crudo, per dare profondità al personaggio? E se sì, c’era bisogno di mostrarlo in quel modo?
Stesso discorso per la scena dell’incidente a Monza, che rievoca — quasi in copia — il volo del povero Alex Peroni nel 2019 in F3, unita all’elemento del fuoco che richiama chiaramente Grosjean in Bahrain 2020. Il risultato? Più citazione forzata che altro, più shock visivo che necessità narrativa. Si sfiora il gusto del sensazionalismo, e non è un gran segnale.
Sonny Hayes, pilota, ingegnere, stratega, semidio
Uno dei limiti più evidenti del film sta nella gestione delle sequenze di gara: spettacolari, sì, ma spesso completamente irreali per chiunque mastichi un minimo di motorsport. Il personaggio di Brad Pitt non solo guida, ma decide strategia, cambi gomme, assetti e pure le linee di traiettoria da seguire in gara. Sembra una fusione fra Alonso, Toto Wolff ed un fanta-stratega da cabina di commento, tutto in uno.
Chissà cosa ne pensa Briatore, poi, delle scene in cui vengono causate tre Safety Car di proposito per favorire il rendimento della squadra.
In un contesto tecnico come quello della F1, dove ogni dettaglio è frutto di decine di ingegneri e settimane di simulazione, questo tipo di racconto è fuorviante. E finisce per alimentare l’ennesimo cliché hollywoodiano dell’eroe onnipotente.
Poco male, comunque, se si pensa che è esattamente la narrazione della realtà che fornisce certa stampa specializzata in merito, su certi piloti. E qui mi fermo.
Alti e bassi nei dettagli
Non mancano neanche sviste evidenti nel montaggio, come nella gara finale ad Abu Dhabi, dove si nota un mix disordinato di livree 2023 e 2024 di team reali. Un dettaglio per pochi, certo, ma in un film che si vanta della sua aderenza al reale, l’occhio attento coglie tutto, e certe incongruenze fanno rumore.
Tra le cose fatte bene, va riconosciuta l’ottima resa delle sequenze nei simulatori, ricreate con grande attenzione utilizzando un vecchio simulatore McLaren (molte scene in fabbrica sono state girate nella sede del team di Woking). È uno dei pochi momenti dove la tecnologia viene raccontata con un minimo di verosimiglianza, mostrando come oggi si preparano i piloti alle gare. Un dettaglio da appassionati, che però arricchisce e dà spessore.
In definitiva
F1 è un film ben fatto, indubbiamente. Ma è anche un film che accontenta tutti senza davvero convincere nessuno. Piacerà a chi cerca l’adrenalina, lo scintillio delle immagini in IMAX e i duelli all’ultima curva. Deluderà chi ama la F1 vera, fatta di strategie invisibili, battaglie a livello ingegneristico e margini millimetrici.
Non è un film da bocciare, ma neppure da celebrare. È un prodotto per il grande pubblico, confezionato con mestiere, che regala un paio d’ore di intrattenimento senza troppi pensieri. Niente di più. Niente di meno.
Insomma, F1 è come certi GP moderni: bello da vedere, coinvolgente nell’immediato… ma quando finisce, resta poco da ricordare davvero.
© Simone Marchetti Cavalieri