BASTEREBBE SAPER GUARDARE I GRAN PREMI
- Simone Marchetti Cavalieri

- 28 mag
- Tempo di lettura: 3 min

La prestazione di Lewis Hamilton a Montecarlo ha acceso un nuovo fronte nel dibattito che lo accompagna da quando ha indossato i colori Ferrari. Il distacco finale di oltre 51 secondi è bastato a molti per lanciare critiche e giudizi netti, ma ancora una volta ci si ferma al dato crudo, senza provare a leggere cosa c’è dietro quei numeri.
È vero, l’impatto iniziale del sette volte campione del mondo in rosso non è stato travolgente. Ma è altrettanto vero che ormai da tempo si usano le statistiche come armi da brandire solo quando servono a confermare una tesi. Una parte del tifo ferrarista si è subito schierata con entusiasmo dalla sua parte. Un’altra, invece, sembra aspettare ogni minimo passo falso per metterlo in discussione. E quando l’idolo indiscusso è Charles Leclerc, il confronto interno diventa inevitabilmente un campo minato.
C’era da aspettarselo: il dualismo tra Charles e Lewis avrebbe catturato l’attenzione fin da subito. Ma la realtà è che, al di là delle aspettative, la SF-25 non è la monoposto che molti speravano. Così, più che lottare per vittorie, si combatte per piazzamenti. E con il calo di interesse per la sfida interna, cresce la frustrazione per una stagione che rischia già di essere archiviata come l’ennesima occasione persa.
Eppure, prima di condannare, basterebbe davvero guardarle, le gare. Non fermarsi al tempo finale o a qualche grafico condiviso su un post virale. A Monaco, per esempio, Hamilton non è sembrato affatto in difficoltà. Anzi. Leclerc lì è da sempre un riferimento assoluto — basta ricordare la sua pole del 2021 — eppure Lewis, dopo un weekend complesso e una vettura ricostruita dopo il botto al Casinò, si è qualificato a tre decimi dal compagno, con un solo treno di gomme nuove nel Q3. Quarto posto. Non proprio un fallimento.
In gara, la situazione si è complicata subito. Penalità, partenza in settima posizione, e davanti due clienti scomodi come Hadjar e Alonso. I primi 17 secondi di gap da Norris arrivano proprio in quella fase. Poi arriva la sosta: Hamilton è il primo tra i big a montare un secondo set di dure. Una scelta che inizialmente lo riporta vicino a Verstappen, ma che viene vanificata dal traffico. Colapinto, Bortoleto e altri rallentano il suo ritmo mentre i primi riescono a liberarsi con più facilità dei doppiati. Il distacco da Norris raddoppia in poche tornate.
In più, c’è la gestione. In Ferrari gli impongono un target time per allungare lo stint. È una strategia prudente, forse troppo, che di fatto esclude ogni tentativo di mettere pressione su chi sta davanti. Tutto questo è documentato, riportato anche dai principali media specializzati. Ma troppo spesso si preferisce ignorarlo, in favore della critica facile e immediata.
Hamilton merita critiche? Forse sì, come chiunque. Ma vanno fatte con cognizione di causa, guardando cosa accade in pista, non solo sul cronometro. Perché se poi andiamo a vedere i numeri reali, scopriamo che, da quando Leclerc è in Ferrari, nessun compagno di squadra ha mai avuto un distacco medio così contenuto da lui in qualifica come quello registrato da Lewis in queste prime gare.
Sembra difficile da credere, vero? Eppure è così. Ma in tempi in cui tutto si semplifica, è più comodo farlo passare per un pilota finito, che fermarsi ad analizzare. Peccato. Perché saper guardare davvero le gare sarebbe già un primo passo per capire meglio le cose.
© Simone Marchetti Cavalieri

